Co-sleeping: ricetta magica o cattiva abitudine?

Il “Co-sleeping” è il termine che indica il “dormire insieme”, pratica secondo la quale in un unico letto, quello dei genitori, dorme anche il neonato. Sul co-sleeping gli esperti hanno dato diverse opinioni scientifiche sulla base della “dipendenza” che questa abitudine può innescare, ma anche sui benefici che è in grado di arrecare al piccolo. Per lo più, infatti, i medici e i professionisti approvano il co-sleeping come tassello fondamentale per lo sviluppo della sicurezza da parte del bambino e, orientativamente, affermano che non ci sono problemi a farlo dormire con i genitori fino ai 3 anni di età. Ma il bambino può iniziare a dormire da solo anche prima, dipende dalle sue esigenze, nonché dalle abitudini del genitore.

Il bimbo vuole dormire con mamma e papà? È normale: si sente rassicurato

Ogni madre risponde come meglio crede alle richieste di rassicurazione del figlio sulla base della sua esperienza o cultura di accudimento, ma anche in relazione alla personalità e alla sensibilità del figlio. Se parliamo della gestione del sonno, culletta o co-sleeping, quel che è più importante è che più verrà soddisfatto il desiderio di dipendenza del bambino fin da piccolo e più facilmente il bambino diventerà autonomo. Questo perché una sana vicinanza genitoriali è in grado di sviluppare nel bambino una buona sicurezza interiore che gli permetterà poi di “staccarsi” dal genitore e affrontare da solo le proprie ansie o paure. Se ci pensiamo, questo avviene non solo nelle abitudini del sonno, ma in qualsiasi ambito di vita relazionale tra genitore e figlio, in termini di ostacolamento o meno della sua crescita. Da qui, è bene scansare ogni allarmismo quando si parla di co-sleeping, specialmente in riferimento alla SIDS, morte in caso di sonno condiviso. L’importante è che il bimbo non stia in mezzo ai genitori, ma sdraiato su un lato del letto e che abbia spazio a sufficienza per muoversi e per evitare di essere soffocato o di incastrarsi con le lenzuola.

Sul co-sleeping non ci sono verità assolute, ma solo precauzioni comportamentali

A livello “naturale”, è istintivo, se non necessario, che il bambino e la mamma stiano molto tempo insieme, anche nella condivisione del sonno, almeno fino a quando il bimbo non cessi di essere vulnerabile. Dal punto di vista del co-sleeping, si parla di “dipendenza dell’attaccamento”, strategia con la quale ciascun bebè (fino a 6-7 mesi) manifesta il suo desiderio di stare attaccato ai genitori per tutelare la sua percezione di “sicurezza”. Tuttavia, come è stato notato, dagli otto mesi in poi si può manifestare la cosiddetta “ansia da separazione” proprio per via del distacco, che spingerà il cucciolo a tentare di ricongiungersi alla mamma e al papà. E allora? Come far dormire il bambino da solo? Bastano poche accortezze. Per esempio, è importante stabilire con fermezza l’orario delle ninne, e che sia sempre quello senza variazioni per garantire una certa sistematicità nelle buone abitudini. Prima di farlo riposare, è necessario cullarlo, coccolarlo e farlo rilassare per conciliarli meglio il sonno. È anche bene fargli bere un bicchiere di latte caldo o fargli fare un bagnetto rinfrancante per dargli un po’ di “conforto” a fronte della notte da soli. Infine, una volta data la buonanotte, è il caso di lasciare una lampadina accesa, con luce molto fioca, per rassicurare il bambino.

La mamma e il bambino hanno il sonno sincronizzato?

Se il bambino non viene allattato con latte artificiale, ma in maniera naturale, tenderà a svegliarsi spesso durante la notte per la poppata, dal momento in cui lo richiede la sua digestione velocizzata. Tuttavia, a livello scientifico, questo non compromette i ritmi di sonno della mamma per l’allattamento. Gli studi, infatti, illustrano come, giù da prima della nascita, tra il neonato e la mamma si instaura una “sincronia” che protegge la qualità del sonno di entrambi. Helen Bell, direttore del Parent & Infant Sleep Laboratory dell’Università di Durham, in Inghilterra, ha sostenuto che: “Anche se la condivisione del letto con madri che allattano comporti risvegli notturni più frequenti per la poppata, esse rimangono sveglie per periodi brevi, riaddormentandosi più in fretta e più a lungo di chi dorme su superfici separate”. Pertanto, uno dei lati positivi del co-sleeping, oltre a quello di rassicurare il pargolo, è ce il comportamento e lo stato fisiologico del bambino e della mamma sono complementari e profondamenti connessi. Oggi sappiamo che molte mamme che allattano, proprio per via di ciò, optano per il co-sleeping proprio perché la poppata a letto (o nella culla vicina ad esso) le permette di dormire meglio e gestire più facilmente l’allattamento.

Cosa fare se il bimbo piange di notte? Lettone sì o no?

Il bambino non va assolutamente lasciato piangere, anzi bisogna coccolarlo subito in braccio con dolcezza per tranquillizzarlo fino a quando non si calma completamente. C’è sempre il “periodo critico” del risveglio notturno del bebè. Ma non è necessario ricorrere a misure estreme. Di nuovo, è questione di buone abitudini. Si può optare per far dormire il bambino nel lettone o nella culla vicina o anche restare con lui nella stanzetta a fianco fino a quando non riprende sonno. È una scelta personale e vanno bene entrambe, visto che non ci sono prove che è essenziale per lo sviluppo del neonato dormire da solo nel proprio letto. La priorità assoluta, sia per il bambino che per il genitore, è dormire tranquillamente di notte e trovare il giusto compromesso.